La Parola che fiorisce anche nel deserto: la prima catechesi di Papa Leone XIV
La Parola che fiorisce anche nel deserto: la prima catechesi giubilare di Papa Leone XIV
di Michele Pio Pontonio
C’è qualcosa di familiare e insieme di sorprendente nell’immagine scelta da Papa Leone XIV per la sua prima catechesi dell’Anno Giubilare. È la parabola del seminatore, una delle più conosciute, eppure così capace di interrogare ciascuno di noi con parole semplici e profonde. Mercoledì mattina, in una Piazza San Pietro baciata dal sole e colma di volti, lingue e speranze, il Papa ha voluto ripartire da qui, da un seme gettato nel terreno della nostra vita, per inaugurare il ciclo di catechesi intitolato “Gesù Cristo nostra speranza”.
Un inizio che è tutto un programma: non si parte da grandi proclami, ma da una storia. Una storia che tocca la terra e l’anima. Come quel seminatore che esce a seminare senza calcolo, quasi “sprecando” i semi anche sui terreni meno promettenti: la strada, i sassi, i rovi. È l’immagine di un Dio che non si arrende davanti alle nostre chiusure, che non aspetta che siamo perfetti per parlarci, ma si fida di noi anche quando noi non ci fidiamo di Lui. E ci semina dentro la Sua Parola, anche se la nostra terra è arida o ferita.
Papa Leone XIV ha parlato con voce calma e forte. Si è lasciato guidare dalla semplicità del Vangelo di Matteo, capitolo 13. “Il terreno – ha detto – è il nostro cuore, ma è anche il mondo, la comunità, la Chiesa. Ogni realtà può essere fecondata dalla Parola di Dio”. Parole che hanno il sapore dell’umiltà e il tono della speranza, quella vera, che non si compra e non si improvvisa, ma si coltiva nel tempo, come il seme che cresce nel silenzio.
Il Papa ha poi richiamato un'immagine suggestiva: Il seminatore al tramonto, il quadro di Van Gogh. Dietro l’uomo che semina c’è il grano già maturo, come a dire che qualcosa cresce, anche quando non lo vediamo. Al centro del quadro c’è il sole, luce che riscalda e fa maturare. “È Dio – ha spiegato – a muovere la storia, anche quando ci sembra lontano”.
E infine un invito personale, diretto, che tocca il cuore: “Se ci accorgiamo di non essere un terreno buono, non scoraggiamoci. Chiediamo a Dio di lavorare ancora in noi. Lui non si stanca”. Sono parole che consolano e sfidano, come il Vangelo. Parole che fanno bene. Perché ci ricordano che nessuno è escluso dalla speranza.
Nel saluto finale, Papa Leone XIV ha rivolto un appello accorato per la pace nella Striscia di Gaza. La sua voce si è fatta preghiera: per chi soffre, per chi semina nel dolore, per chi ha fame di futuro.
L’Udienza si è conclusa con il Pater Noster e la Benedizione Apostolica. Ma la catechesi, quella vera, comincia adesso: nei cuori di chi ha ascoltato, nei passi di chi vorrà diventare un terreno buono, nelle vite di chi si lascia seminare.
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