Quell’uomo con l’uva ci somiglia: una statua che racconta la nostra gente
A Torremaggiore, un uomo parla col cuore della terra
In un angolo di strada che sa di futuro e di memoria, a Torremaggiore è nato un nuovo simbolo. Il 22 aprile, sotto un cielo pulito e fiero, è stata inaugurata una rotonda che è molto più di un incrocio stradale: è un segno tangibile di identità, un monumento alla fatica e all'amore per la propria terra.
Al centro, una figura. Un uomo, un contadino, che solleva un grappolo d’uva verso il cielo. Un gesto antico, ma sempre nuovo. Non un semplice movimento delle braccia, ma un atto carico di significato: è il ringraziamento alla terra, è la preghiera muta dell’agricoltore, è la fierezza di chi non ha mai smesso di credere nel valore del lavoro e nella dignità del sacrificio.
In quel volto, segnato dal tempo e dalla vita, c’è la storia di intere generazioni. Uomini e donne che hanno vissuto senza clamori, ma che hanno lasciato un’impronta profonda. In quelle mani tese c’è il racconto silenzioso di chi, giorno dopo giorno, ha costruito il futuro di Torremaggiore con gesti semplici e veri.
Questa figura non è soltanto un’opera. È un messaggio, un richiamo, un invito. A non dimenticare da dove veniamo. A riconoscere il valore della terra. A rispettare chi la lavora, chi la cura, chi la onora. È un piccolo altare civile, dove ogni passante può fermarsi anche solo con lo sguardo e lasciarsi attraversare da un pensiero: “Io vengo da lì. Da quelle radici. Da quella dignità silenziosa.”
La nuova rotonda diventa così un’aula senza pareti, dove si insegna il rispetto, l’umiltà, la riconoscenza. Dove anche chi è di fretta è costretto a rallentare, ad alzare gli occhi, a interrogarsi. È un segnale di civiltà, una dichiarazione d’amore per il territorio.
Torremaggiore ha fatto un gesto nobile: ha dato volto e forma a un mestiere che è vocazione, arte, resistenza. Ha reso eterno l’agricoltore, simbolo della nostra terra e delle sue stagioni.
Noi, oggi, siamo custodi di quel messaggio. Perché non c’è futuro senza memoria. E non c’è progresso senza radici.
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