14 agosto – I Santi Martiri di Otranto: radici che non si piegano
Oggi, 14 agosto, la Chiesa ci invita a volgere lo sguardo verso una città che profuma di mare e storia, ma che porta impressa nella pietra e nell’anima una ferita d’amore per Cristo: Otranto.
È l’estate del 1480. Il vento dell’Adriatico porta con sé nubi scure: all’orizzonte, 150 navi ottomane, 18.000 soldati guidati da Gedik Ahmet Pascià, partiti da Valona per conquistare la “porta” dell’Italia.
La città conta appena 2.000 anime. La sproporzione è evidente, ma la resistenza è tenace. Si combatte, si prega, si spera. Dopo due settimane di assedio, le mura cedono. Le strade diventano fiumi di sangue: gli uomini sopra i quindici anni vengono massacrati, donne e bambini trascinati via come schiavi.
Eppure, i veri vincitori non saranno i conquistatori.
Perché ciò che accade nei giorni successivi trasforma una tragedia militare in una vittoria eterna.
I superstiti, rinchiusi nella Cattedrale con l’anziano arcivescovo Stefano Pendinelli e il comandante Francesco Zurolo, ricevono un ordine: rinnegare la fede in Cristo e salvarsi la vita.
La risposta è un “no” che risuona come un tuono: «Crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Moriamo per Lui». A parlare per primo è Antonio Pezzulla, detto Il Primaldo, un sarto dai capelli bianchi.
Il 14 agosto, legati e condotti sul colle della Minerva, ottocento uomini vengono decapitati uno dopo l’altro, sotto gli occhi delle famiglie costrette ad assistere. Secondo la tradizione, il corpo di Primaldo rimane in piedi, sfidando i carnefici, finché l’ultimo dei suoi compagni non riceve la corona del martirio.
In quella fila silenziosa, un soldato turco — colpito dalla serenità dei condannati — si converte e subisce subito la stessa sorte, impalato dai suoi compagni. Una sola donna, Idrusa, è ricordata come martire. Tra i caduti, anche monaci, sacerdoti e uomini di cultura come Macario Nachira.
Per tredici mesi i corpi restano insepolti, fino alla riconquista della città. Quando finalmente vengono recuperati, appaiono incorrotti: un segno che la Chiesa ha custodito con venerazione fino a oggi.
Papa Clemente XIV li proclamò beati nel 1771; Benedetto XVI riconobbe il loro martirio “in odio alla fede” e Papa Francesco, il 12 maggio 2013, li canonizzò, consegnandoli alla Chiesa universale come Santi Martiri di Otranto.
Oggi, nella Cattedrale di Otranto, le loro reliquie sono custodite in tre grandi teche, dietro l’altare. Chi entra si trova davanti a centinaia di teschi e ossa ordinate, non come trofei di guerra, ma come un coro silenzioso che canta il Vangelo fino al sangue.
Un messaggio che ci interpella
Il loro sacrificio non è un racconto lontano: è una domanda che ci brucia dentro. Quanto vale la nostra fede?
In un mondo che cerca compromessi e scorciatoie, gli ottocento di Otranto ci ricordano che c’è un “sì” che non si piega, radici che non cedono nemmeno sotto la tempesta, un Vangelo che vale più della vita stessa.
E forse la loro vera eredità non è solo nella gloria del martirio, ma nella quotidiana fedeltà che anche noi siamo chiamati a vivere: nelle scelte oneste, nella coerenza, nella difesa della verità, nell’amore per Dio che non si svende.
Parlare dei Martiri di Otranto su un blog locale come TorreInforma è un atto di fedeltà e di coraggio.
In un mare di contenuti veloci e superficiali, scegliere di raccontare questa storia significa alzare un piccolo faro nella notte. Non è solo riportare una data o un episodio: è custodire una memoria viva e trasmetterla come si fa con il fuoco in una fiaccolata, mano dopo mano.
Un blog come il nostro è un po’ come il campanile di paese: magari qualcuno non ci fa caso, ma chi lo ascolta sa che quel rintocco tiene vivo il tempo e la storia.
Oggi i Martiri di Otranto sono celebrati nelle grandi basiliche, ricordati nei documenti vaticani e nei pellegrinaggi. Ma è nei piccoli spazi come questo che la loro testimonianza diventa più vicina, più familiare, più capace di parlare al cuore.
Perché la santità non nasce tra le pagine dei libri di storia, ma nelle scelte quotidiane. E se la nostra voce è piccola, non importa: il Vangelo, si sa, ha sempre cominciato da un pugno di pescatori in una città qualunque.
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