«Là dove Dio abita il lavoro diventa preghiera»
C’è una bellezza che non si spiega, ma si respira. È quella che ha avvolto la comunità di Gesù Divino Lavoratore nella sera del 12 novembre, quando la chiesa si è riempita di volti, di canti, di silenzio orante per il 30° anniversario della sua dedicazione.
Trent’anni di storia che non sono soltanto un numero, ma una sorgente che continua a scorrere, come l’acqua vista dal profeta Ezechiele, uscire dal tempio e dare vita ad ogni cosa che tocca.
S.E. Mons. Mengoli, con la delicatezza dei pastori che conoscono il cuore del popolo, ha guidato l’omelia invitando a riscoprire la grandezza del quotidiano:
“Quando il lavoro nasce dall’amore, diventa preghiera. Ogni gesto, ogni fatica, ogni atto compiuto con sincerità è già offerta gradita a Dio.”
La dedicazione è proprio questo: non un ricordo, ma un orientamento, un modo di vivere. Come una dedica in fondo a una pagina, scritta per dire “tutto questo è per Te”, così la comunità ha ricordato che tutto ciò che è stato costruito, celebrato e vissuto in questi trent’anni è per Gesù Divino Lavoratore — il Dio che santifica la fatica, la trasforma in lode e fa del lavoro un altare.
Alla fine della celebrazione, in un clima di intensa commozione, sono state deposte sotto l’altare le reliquie dei Martiri di Otranto. Un gesto di fede che unisce la storia del sacrificio al respiro della speranza: il sangue dei testimoni diventa seme di una comunità che vuole vivere il Vangelo fino in fondo.
E mentre l’incenso si alzava leggero e la chiesa restava in silenzio, qualcuno ha sussurrato:
“Non è solo un edificio consacrato, ma un popolo che si lascia consacrare ogni giorno.”
In quella frase c’è tutto il senso di questa festa: riconoscere il tempio di Dio non solo tra le mura di una chiesa, ma nel cuore di ogni fratello.
La sera del 12 novembre resterà come una carezza di luce nella memoria di tutti: perché trent’anni di cammino diventano davvero eterni, quando la comunità comprende che lavorare è pregare, e amare è il modo più bello di costruire una chiesa viva.















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